“Raccontare il deserto” – A Pordenone dal 2 al 6 luglio

L'Osservatorio Mediterraneo sarà presente al 2° Festival organizzato dall'Associazione "Via Montereale" di Pordenone, dal titolo "Raccontare il Deserto", in cui si parlerà di storia e di cultura dell'Africa dei Tuareg e di altri popoli del Sahara. Tra i vari interventi, è previsto anche quello di Alessandro Massacesi, membro del Consiglio direttivo della nostra Onlus, esperto africanista e profondo conoscitore della cultura Tuareg, che presenterà il suo nuovo libro "Tra cielo e sabbia: storia e cultura del popolo Tuareg".

Raccontare-il-deserto2013

Raccontare-invito

 

La biblioteca nazionale del Marocco

Articolo di Malika Ibdelaid

Tant'è, finalmente è accessibile, dopo quattro anni di lavori. Di che si tratta? Della Biblioteca Nazionale del Regno del Marocco, secondo il nome ufficiale. Più di un mese dopo la sua inaugurazione da parte di Mohammed V, essa accoglie le persone in cerca di sapere. Prima che si realizzassero il maestoso edificio, la spianata e il giardino circostante, c'è voluto qualche anno, dalla creazione del progetto al risultato finale, passando per difficoltà tecniche e di risorse umane.

Un passo indietro: siamo nel 2000, viene indetto un concorso per l'appalto del progetto della Biblioteca Nazionale. Gli architetti Rachid Andaloussi e Abdelouahed Mountassir uniscono le loro idee e le loro esperienze per presentare il miglior progetto contro la concorrenza di altri ventitre studi di architettura. Per questo, non esitano a fare numerose incursioni sul futuro sito della biblioteca, il giardino del Belvedere e quello d'Essais, e attraversano le frontiere per visitare le biblioteche di paesi stranieri. Buon per loro: vincono il concorso, presieduto da eminenze in questo campo.

Qualche intoppo
L'impresa cui i due architetti devono ormai applicarsi è colossale: una biblioteca comprendente un auditorium con 300 posti, una galleria espositiva, una sala d'animazione e formazione, servizi adattati ai portatori di handicap, uno spazio riservato ai documenti digitalizzati e ai microfilms, uno spazio riservato ai manoscritti e ai libri rari, un'area di ricerca e altre aree. Il loro progetto include anche una torre del sapere di 28 metri (38 contando il sottosuolo) e una spianata fatta di ulivi, di tre piccole arganie, melangoli (aranci amari) e vegetazione varia.

Driss Khrouz, direttore della biblioteca, ammette che è “un cantiere molto grande e che riguarda un mercato molto complesso”. Il seguito degli avvenimenti gli dà ragione. Infatti, tra il 2004 e il 2009, il prezzo dei materiali utilizzati, come il cuoio, si è impennato portando al fallimento dell'impresa incaricata dell'elettricità: “abbiamo dovuto fare un nuovo bando di concorso, il che ci ha fatto perdere otto mesi”, aggiunge il direttore. Altro problema: abbiamo sottostimato il costo totale del progetto. Il budget di partenza era di 100 milioni di dirhams. Le imprese accettano l'affare pur non avendo riserve di materiali sufficienti, non reggono il colpo sulla lunga durata e abbandonano il cantiere”.

Risultato: per un anno la costruzione avanza col contagocce. Tutto è cambiato dal 2007, sotto l'impulso della corte: “I lavori hanno acquisito un altro passo, e alla fine il ritmo di lavoro è diventato normale”, affermano gli architetti Andaloussi e Mountassir. Le difficoltà passate si sono dileguate per far posto a un anno in cui i lavori hanno accelerato…e hanno visto la fine.
 

Chiave di lettura

Difficile restare insensibili di fronte allo spettacolo offerto dagli spazi: l'insieme, la cui superficie copre 20.832 m², è semplicemente splendido e rende ben conto del perché il costo totale di 294 milioni di dirhams, stanziati dal Ministero della Cultura e dal Fondo Hassan II, sia di tre volte superiore al budget iniziale. Uno dei contributi essenziali della Biblioteca nazionale è costituito dal sistema di conservazione e digitalizzazione. L'8 Febbraio scorso è stato firmato un nuovo accordo (il primo risale al 2004) di cooperazione tra la BNRM e la Bibliothèque Nationale de France, che coprirà gli anni dal 2008 al 2010. Obbiettivo: beneficiare dell'esperienza della BNF in materia di digitalizzazione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Poiché una delle funzioni essenziali della BRNM sarà la conservazione e digitalizzazione, l'accordo è ben pensato, visto che il numero di opere contenute nell'edificio è impressionante: circa 300.000 libri.

Ma uno spazio del genere è in grado di riportare il gusto della lettura tra i marocchini? A Latifa, una ragazza che lavora di fronte alla Biblioteca Nazionale, “mi piacerebbe molto visitarla e andare a leggervi dei libri”. Nel mettere mano al portafogli per nutrirsi di letteratura, è d'accordo “purché non costi troppo”. Per questo la carta di abbonamento sarà di 50 DH per gli studenti e 100Dh per i ricercatori, solo i costi per le riproduzioni dei testi saranno a pagamento. Servirà però una buona campagna informativa, visto che numerosi cittadini sono convinti di poter entrare in questa biblioteca, mentre non è aperta che a studenti, ricercatori (“non necessariamente di alto livello” secondo Driss Khrouz) o a specializzati post-universitari.
È qui che la struttura cede. Nonostante sia stata creata una rete di 60 biblioteche di prossimità, i marocchini sono poco inclini a prendere in mano un libro. La colpa è della scuola, secondo un'archivista che lavora a Rabat: “La scuola non incoraggia gli studenti a leggere. Bisognerebbe che gli studenti potessero accedere alle librerie, in biblioteche fornite di opere interessanti e non obsolete”. Kacem Basfao, critico letterario, capo del Dipartimento di Lingua e Letteratura francese all'Università di Aïn Chock e responsabile dell'indirizzo “Mestieri del Libro” nella stessa università, dal canto suo afferma: “Si tratta più di una biblioteca per i grandi lettori e i ricercatori. Necessariamente non potrà avere la funzione di una biblioteca di quartiere. Ma l'esistenza di questo luogo significa di per sé la presa di coscienza dell'importanza del patrimonio culturale. Adesso ci sarebbe bisogno di più biblioteche di quartiere e una professionalizzazione degli impiegati per servire al meglio i lettori.”
Bichr Bennani, delle Editioni Tarik, casa editrice di Casablanca, dichiara: “Quello che potremmo augurarci è che quest'apertura spinga alla lettura. La mancanza di luoghi culturali come questo ipoteca l'avvenire di questo Paese. Tutta la cultura del Marocco va sparendo. In quanto autori di libri, noi cerchiamo di sensibilizzare la popolazione ma questo non basta”.
Se la Biblioteca Nazionale, polo di conservazione e restauro, potrà servire da motore alla creazione di nuove biblioteche di quartiere, se la scuola spingerà i bambini, dalla più tenera età, a leggere, allora il Marocco non si sentirà più colpito dalla celebre frase dello scrittore Bernar Weber: “Il mondo si divide in due categorie di persone: coloro che leggono i libri e coloro che ascoltano quelli che li hanno letti” (1). Forse…

(1) Bernard Werber , Les Thanatonautes, Albin Michel

Traduzione dal francese di Alessandro Rivera Magos

Articolo pubblicato da Tommaso Palmieri per Osservatorio Mediterraneo

Fonte: www.babelmed.net

Il mare metaforico degli arabi

di Jalel El Gharbi (trad. di A. Rivera Magos)

Gli Arabi non erano un popolo fatto per il mare. Per loro, il mare era soprattutto un riferimento metaforico. La poesia pre-islamica, per esempio, abbonda di tale percezione metaforica che associa deserto/mare; dune/onde. L’esempio più conosciuto, di questa serie di metafore in cui vivevano gli Arabi, sarebbe quella dell’assimilazione del cammello ad una barca. Si capisce bene come nelle distese desertiche, il mare prende presto il senso di distesa d’acqua. Gli Arabi da subito hanno distinto due tipi di mare: il mare dolce e il mare salato. Questa distinzione spiega il senso dell’espressione “i due mari”. Contrariamente a quel che ha potuto scrivere Predrag Matvejevich, il Corano non parla di due grandi mari ma di questi due tipi. Il mare: una distesa d’acqua. Così il Nilo, che si è sempre considerato un mare, è chiamato Mar del Nilo fino ad oggi. Alcuni laghi sono chiamati mari. Ed è vero che alcuni mari somigliano a dei laghi. Può darsi che il legame fra i due tipi di mare sia il carattere pescoso. Mare dunque, significherebbe distesa pescosa.
Per gli Arabi, il mare per eccellenza è il Mar Rosso. Della trentina di volte in cui occorre nel Corano la parola mare, nessuna fa riferimento al Mediterraneo, chiamato mare bianco.
Perché questo colore? Donde gli viene?
Sono eredi della cartografia greca, traduttori del Grande Trattato, oggi più noto col nome di Alamgesto (forma arabizzata di Megistos [biblos] il Grande [Libro] di Tolomeo), opera di cui la biblioteca nazionale di Tunisi detiene un sontuoso esemplare.
Gli Arabi hanno adottato la rappresentazione alessandrina del mondo. Le carte riportano differenti colori rappresentanti ciascuno un punto cardinale. L’Est è rosso; il Nord è nero; l’Ovest è bianco.
Di tutti questi mari, il più importante per un musulmano è il Mar Rosso. Non solo per ragioni relative alla fede: è quello che attraversa Mosé, è il mare più citato dal Corano. Ma anche per delle ragioni geografiche: è il Mar Rosso che fa dell’Arabia una penisola (al Jazeera, l’isola), è lui che fa l’insularità dell’Arabia, che delimita e protegge. Il Mar Rosso ha un’importanza identitaria per quel santuario che è Al Jazeera, contiene la Mecca e Medina, le città sante con Gerusalemme (Al Qods: parola formata sulla radice QDS: sacro).
Questa predilezione musulmana per le isole dovrebbe essere studiata: l’Islam non attraverserà il Mediterraneo che per raggiungere delle isole: l’Andalusia (un’altra penisola, Jazeera, isola), Malta, Sicilia, Sardegna…
Sul piano letterario, questa predilezione per l’insularità si trova in Ibn Touffayal e raggiunge la sua espressione più colorita nelle Mille e una Notte.
L’insularità dell’immaginario musulmano si spiega attraverso l’importanza che hanno le oasi, isole metaforiche, nella vita in Arabia. Questa supremazia dell’oasi, dell’isola trova un’altra eco: nell’architettura urbana musulmana, la moschea è l’oasi dell’oasi. Ne riproduce, con i suoi archi e archetti, gli alberi, per il posto che vi occupa l’acqua fa pensare all’oasi, al paradiso. Si potrebbe azzardare, senza rischio di sbagliare troppo, che l’isola ha qualcosa di paradisiaco.
Il Mar Rosso costituisce anche un legame con la Palestina, sarebbe a dire un legame storico e religioso con il cristianesimo e il giudaismo. Uno dei principali motivi dell’Islam è di iscriversi nella continuità di queste due religioni. Il Mar Rosso è il ponte che assicura questa continuità.
Il Mediterraneo, il mare bianco, quello dell’Ovest, è anche detto il mare dei Rumi (bizantini). È il mare dell’altro. Spazio cristiano, spazio di passaggio del Cristianesimo (dal sud verso il nord), quando l’Africa del Nord raggiungerà molto presto l’Islam e il mondo arabo. Perché, contrariamente a ciò che si pensa, essere arabi è un’appartenenza linguistica e non etnica.
Un hadith del profeta sostiene che “chiunque parli arabo è Arabo”.
Tutto avviene come se il Maghreb fosse integrato nell’immaginario musulmano, come se fosse un’ isola. Delimitato dal Mediterraneo a nord, l’oceano ad Ovest e un metaforico mare a sud: il Sahara.

Fonte: www.babelmed.net
Articolo pubblicato per Osservatorio Mediterraneo da Tommaso Palmieri

Aperto il primo museo della striscia di Gaza

La storia della striscia di Gaza raccolta in un museo archeologico

“L’idea è mostrare le profonde radici delle tante culture di Gaza” dice Khoundary, un imprenditore edile fondatore del museo che 22 anni fa iniziò a collezionare le testimonianze del passato. Nel territorio palestinese i primi insediamenti umani risalgono al quarto millennio avanti Cristo; nei secoli, la regione diventò un passaggio obbligato per le carovane in viaggio dalla penisola arabica o dal Corno d’Africa verso il Mediterraneo. “Gaza ha subito più di un assedio”, dice il fondatore del museo in riferimento al blocco israeliano in vigore ormai da oltre un anno, da quando cioè nella Striscia è al potere il partito Hamas. “Ci fu l’assedio di Alessandro Magno, quello dei persiani e quello degli inglesi; ma gli assedi, dopo tutto, sono solo una nota a piè pagina”. Molti dei “tesori” della Striscia, sarcofagi, gioielli in oro e vasi di alabastro, furono scoperti tra gli anni '70 e '80 da un gruppo di archeologi ebrei.

Fonte: www.ilmediterraneo.it

Articolo pubblicato da Tommaso Palmieri per Osservatorio Mediterraneo onlus
 

I manoscritti arabo-islamici della Mauritania

di Marco Sassetti

"Solo una piccola parte
della storia della cultura
scritta è stata tipografica"

M. McLuhan, Galassia
Gutemberg, glossa 27

 

"Dimmi, Chinguetti, meraviglia del deserto che cosa nascondono le tue infuocate dune? Il passato delle tue genti e il rilucente spirito di una Terra di cui l'universo si compiace. Dalle cime dei tuoi tesi minareti, verso i cieli la eterna e santa voce di un muezzin richiama gli uomini al felice cammino che porta a Dio,e alla fede nella divina salvezza"

Così traduciamo il cantore poeta Issel Mon o Jdoui che compose una canzone dall'alto delle dune di Cinguetti, settimo luogo sacro dell'Islam e capitale storica e spirituale dell'odierna Repubblica Islamica di Mauritania.Fra il XVII e il XIX secolo la città visse il periodo di maggiore fulgore commerciale ed intellettuale. La prosperità economica poggiava sul commercio del sale, che attirava alla "Fonte dei Cavalli" (significato del nome Cinguetti) le lunghe teorie di cammelli e dromedari dalle rotte carovaniere, carichi di manufatti di prezioso artigianato, a lungo favorito da splendide condizioni di sviluppo.Annualmente innumerevoli carovane intraprendevano la pista per La Mecca, partendo dalla opulenta città mercantile di Cinguetti, protetta dalle dune dai lontani centri rivali, situata all'incrocio di polverose piste carovaniere, raggiunta e visitata, da molti popoli stranieri.Fra le sue strade, nelle abitazione dei "sapienti", stuoli di studenti "che cercano il sapere" ricopiavano il Corano ed altri manoscritti, gelosamente conservati nelle "Biblioteche del Deserto".Questi libri sono presenti in tutta nell'Africa sahariana e saheliana, conservati presso le antiche famiglie, le scuole religiose e le moschee. Si tratta di migliaia e migliaia di manoscritti di origine medievale ormai dimenticati, mai catalogati, la cui distruzione e sparizione sarebbe esiziale per lo studio, la cultura e la storia della civiltà islamica e preislamica. In particolare ricordiamo i manoscritti giacenti nelle antiche città del Sahara Mauritano – Cinguetti, Ouadane, Oualata – continuamente inondate da cumuli di sabbia spinta dal vento, abbandonate dai loro popoli, o quelli accatastati a Timbuctù nel Centre de Recherches Historique, semi abbandonato e privo di risorse.Nel Sahara innumerevoli gli scribi, per centinaia di anni, hanno calligrafato nelle zawiya (scuole islamiche di pensiero e di insegnamento) e nelle moschee, copie di libri comprati dalle università di Kairouan e di Fez, trasportati a dorso di cammello dal Cairo, da Damasco e da Bagdad, con lo scopo di rinnovare e perpetuare la trasmissione del sapere. Si narra che a Oualata un sapiente sceicco fece ricopiare quattro volte l'intera sua biblioteca. A Chinguetti, nel Sahara, si trova la casa di Sid'Ahmed Ould Habott, nobile esponente delle famiglie più antiche, che detiene, trasmessa nei secoli, la più importante biblioteca privata della Mauritania. Discendente di un antico lignaggio di eruditi e di mercanti ha ereditato i 1.500 volumi raccolti dagli avi, già custoditi in una biblioteca aperta al pubblico fin dal XVIII secolo, ora riposti fra le mura e gli anfratti della sua avita casa, insidiata dalle dune come tutto il centro storico. Aprendo questi manoscritti, tutto il pensiero e le conoscenze dell'Islam medioevale, dagli studi coranici alla teologia, dall'astronomia alla storia, dalla matematica alla medicina, dall'algebra alla poesia tradizionale, dalle scienze naturali alla letteratura, rinviene alla luce della mente, dopo secoli d'oblio e dimenticanza. In una intervista rilasciata al nostro grande e compianto amico Attilio Gaudio, il più tenace promotore internazionale per la salvezza del patrimonio della cultura manoscritta di Mauritania, Ould Habott ebbe a dire:

"Vede, da qualche anno la mia casa è diventata un piccolo ateneo internazionale. Arrivano da tutta la Mauritania, ma anche da paesi lontani come la Siria o l'Arabia Saudita, per consultare le opere. In Medio-Oriente sanno che conservo degli esemplari rarissimi, spesso unici, e che nessuno di essi uscirà mai da Cinguetti. E' un impegno solenne che ho assunto con uno dei miei nonni. Le dico solo che possediamo un commentario del Corano di millenni fa, unico al mondo. Chi vuole leggerlo nella sua interezza deve per forza attraversare il Sahara, come i pellegrini che nel Medioevo portavano dall'Oriente i testi più famosi della cultura islamica per farceli ricopiare".

E ha aggiunto:

"Penso che capirà perché noi di Cinguetti, come gli abitanti di Ouadane e di Tichitt, rifiutiamo qualsiasi proposta degli stranieri che smaniano per portarsi via un esemplare autentico. All'imam di Ouadane, povero e malato, un americano ha messo in mano diecimila dollari per il manoscritto di un calligrafo andaluso del Trecento. La risposta è stata: "Tieni i tuoi dollari che non potranno mai comperare la ricchezza dei miei libri".

Questa ultima frase dimostra come la tradizione del collezionismo librario sia stata così radicata nella classe colta di Cinguetti da permanere in spirito e atteggiamento anche quando le condizioni socio-economiche della città si sono radicalmente e tragicamente volte al peggio come al giorno d'oggi, mostrando l'altra faccia della medaglia rispetto ai tramontati mitici tempi così descritti da Leone l'Africano nel XVI secolo: " i libri si vendono talmente bene a Timbuctù che se ne trae maggior profitto che da qualsiasi altra mercanzia", quando sulla piazza di Timbuctù, all'arrivo delle carovane dal Nord, colti collezionisti e studiosi si disputavano i libri calligrafati negli Atelier persiani e yemeniti o della fascia Maghrebina pagandoli l'equivalente del loro peso in oro.I manoscritti Habott risalgono al periodo storico che va dalla penetrazione degli Almoravidi (XII secolo) al principio della colonizzazione francese, e sono stati composti da autori provenienti dalle tribù nomadi come da quelle stanziali nelle antiche città del Sahara quali Chinguetti, Ouadane, Tichitt, Oualata, Tissint, Tamgrout, Timbuctù.. In effetti gli `ulam_a' (dotti religiosi islamici) delle università medievali di Sankoré a Timbuctù, per secoli hanno professato in tutte le discipline allora conosciute, insegnando a migliaia di .tull_ab/.talib_an (studenti) accorsi dall'area del Maghreb e dell'Africa islamizzata. Il più antico manoscritto è stato composto dal teologo Ebi Hilal el-Askeri, ed è autografato nell'anno 480 dell'Egira (1087 d.C.). Dal punto di vista paleografico e codicologico si distinguono un genere mauro (locale) e un genere diffuso nell'area che va dal Marocco all'Egitto (ma.grib_i), oltre ad uno più propriamente di stile mediorientale. Molte di queste opere originali sono di eruditi mauri di Chinguetti, Ouadane, Oualata, Tichitt, Atar.Fra i testi importanti si contano due Corani: uno è un manoscritto mediorientale, calligrafato con miniature da Mu.hammad b. Ab_i al-Qayyim al-Qaww_al al-Tabriz_i. Questo manoscritto è noto con il nome di "Buaïn çafra" (Ab_u `ayn .sfr_a' in arabo classico), "Colui che ha l'occhio giallo", conferitogli dalla miniatura iniziale, un tondo con un cerchio in foglia-oro su cui nel secolo passato l'ex q_a.d_i di Chinguetti, El-Béchir Ben Ahmed Mahmoud, faceva giurare i testimoni. Ancora Attilio Gaudio riporta il pensiero espresso da un altro personaggio importante del mondo Sahariano e Saheliano, il presidente-poeta, Léopold Sédar Senghor, che a Dakar disse:

"Il Sahara è un oceano di sabbia che i mercanti e gli esploratori seppero attraversare molto prima dei mari. Quest'immensa estensione di rocce e di sabbia che dall'Atlantico al Maro Rosso appare come un'invalicabile barriera tra il Mediterraneo e l'Africa Nera, in verità è stata per due millenni un trait d'union indissolubile tra popoli di culture diverse e distanti che comunicavano lungo le piste carovaniere. Lei conosce, come tutti noi, il monito del grande filosofo e letterato peul Amadou Hampaté Ba: "In Africa, quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia". Io aggiungo che quando a Chinguetti o a Timbuctù una biblioteca brucia o si disperde è la memoria di mille vecchi che scompare".

Anche l'erudito Ismael Diadié Haidara, in una lettera aperta indirizzata all'UNESCO, avverte che per ogni manoscritto che scompare l'umanità si ritrova più povera e "che è meglio far luce anche soltanto con una candelina piuttosto che maledire l'oscurità".

Articolo pubblicato da Tommaso Palmieri per Osservatorio Mediterraneo onlus

Un patrimonio da salvare

di Attilio Gaudio

In un'intervista concessami a Dakar il defunto presidente-poeta, Léopold Sédar Senghor, mi disse:

"Il Sahara è un oceano di sabbia che i mercanti e gli esploratori seppero attraversare molto prima dei mari.
Quest'immensa estensione di rocce e di sabbia che dall'Atlantico al Maro Rosso appare come un'invalicabile barriera tra il Mediterraneo e l'Africa Nera, in verità è stata per due millenni un trait d'union indissolubile tra popoli di culture diverse e distanti che comunicavano lungo le piste carovaniere. Lei conosce, come tutti noi, il monito del grande filosofo e letterato peul Amadou Hampaté Ba: "In Africa, quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia".
Io aggiungo che quando a Chinguetti o a Timbuctù una biblioteca brucia o si disperde è la memoria di mille vecchi che scompare".

In effetti dieci secoli di storia e di cultura delle popolazioni del Sahara e del Sahel sono stati dimenticati fra le dune fino ai recenti ritrovamenti di decine di migliaia di manoscritti antichi nelle zauia (scuole religiose), negli scantinati delle moschee, sotto le tende nomadi e presso le famiglie borghesi delle città del Marocco sahariano, della Mauritania, del Mali e del Niger.
Tale patrimonio dell'umanità non è mai stato completamente catalogato, studiato e tanto meno restaurato. Ecco perché la sua perdita potrebbe rivelarsi disastrosa per il mondo islamico ancor più delle biblioteche dell'Andalusia musulmana.

La maggior biblioteca privata del mondo mauro

A Chinguetti, settimo luogo sacro dell'Islam e capitale storica della Repubblica Islamica di Mauritania, sono stato ospite di Sid'Ahmed Ould Habott, ricco e stimatissimo uomo d'affari che possiede la maggiore biblioteca privata del mondo mauro.
Discendente di una vecchia famiglia di eruditi e di mercanti ha creato una fondazione per proteggere meglio i 1.450 volumi stipati fra i pilastri e le nicchie della sua vasta casa, assediata dalle dune come le altre del centro storico.
Trattano tutto lo scibile del pensiero e delle conoscenze medioevali dell'Islam, dalla teologia alla linguistica, dall'astrofisica alla poesia epica, dalla matematica alla medicina, dall'algebra all'economia commerciale, dalle scienze naturali alla letteratura.
Alcuni manoscritti, forse i più preziosi, erano esposti al sole nel patio, per asciugarli dall'umidità, che peraltro all'interno del Sahara è minima.
Ould Habott mi ha spiegato che conosce tutti i suoi libri e che sono loro i suoi amici più intimi.

"Vede – mi ha detto – da qualche anno la mia casa è diventata un piccolo ateneo internazionale. Arrivano da tutta la Mauritania, ma anche da paesi lontani come la Siria o l'Arabia Saudita, per consultare le opere. In Medio-Oriente sanno che conservo degli esemplari rarissimi, spesso unici, e che nessuno di essi uscirà mai da Cinguetti. E' un impegno solenne che ho assunto con uno dei miei nonni. Le dico solo che possediamo un commentario del Corano di millenni fa, unico al mondo. Chi vuole leggerlo nella sua interezza deve per forza attraversare il Sahara, come i pellegrini che nel Medioevo portavano dall'Oriente i testi più famosi della cultura islamica per farceli ricopiare"
E ha aggiunto: "Penso che capirà perché noi di Cinguetti, come gli abitanti di Ouadane e di Tichitt, rifiutiamo qualsiasi proposta degli stranieri che smaniano per portarsi via un esemplare autentico. All'imam di Ouadane, povero e malato, un americano ha messo in mano diecimila dollari per il manoscritto di un calligrafo andaluso del Trecento.
La risposta è stata: "Tieni i tuoi dollari che non potranno mai comperare la ricchezza dei miei libri".

Manoscritti che valgono oro

I manoscritti coprono un arco di tempo che va dall'epopea degli Almoravidi (XII° secolo) all'inizio dell'epoca coloniale e sono opera di letterati, giuristi, poeti, filosofi, mercanti e scienziati del passato appartenenti sia a gruppi etnici di grande nomadismo, sia alle comunità delle antiche città del deserto quali Chinguetti, Ouadane, Tichitt, Oualata, Smara, Akka, Tissint, Tamgrout, Djenné, Timbuctù, Agadès. Eccezionale il numero degli scritti lasciati dagli ulema (dotti e docenti islamici) dell'università medievale di Sankoré a Timbuctù, dove per trecento anni eminenti professori di tutte le discipline allora conosciute insegnarono a decine di migliaia di talebani (studenti) affluiti da tutte le regioni del Maghreb e dell'Africa sudanese.
 

"I libri – scriveva Leone l'Africano nel XVI* secolo – si vendono talmente bene a Timbuctù e se ne trae maggior profitto che da qualsiasi altra mercanzia".

E gli storici ricordano quando sul mercato di Timbuctù, all'arrivo delle carovane dal Nord, la classe colta acquistava i libri del Medio-Oriente e del Nordafrica pagandoli il loro peso in polvere d'oro.

Il Centro di Documentazione e Ricerche Storiche

Tuttavia parecchi di questi testi storici sono stati ultimamente raccolti e catalogati dal Centro di Documentazione e Ricerche Storiche Ahmed Baba (CEDRAB), creato su proposta dell'Unesco negli anni settanta con un finanziamento del Koweit. Ne stanno microfilmando 15.000, anche se quest'ingente fondo cartaceo rappresenta meno del 10% di quanto sarebbe rintracciabile nei villaggi e negli accampamenti del deserto.

Salvare tremila manoscritti

Lo storico-ricercatore Ismael Diadié Haidara di Timbuctù ha lanciato un appello in occasione dell'VIII° Convegno eurafricano del CIRSS (Centro Internazionale di ricerche sahariane e saheliane) nel novembre 2000, affinché siano salvati dalla distruzione i 3000 manoscritti medievali del fondo Mahmud Kati. Si tratta di una biblioteca di un inestimabile valore documentario, ricostituita nell'abitazione privata di Diadié Haidara, aperta per la prima volta il 27 settembre 2000 e di cui sono stato autorizzato a fotografare alcuni esemplari. Essa risale all'esilio di Alib Ziyad al Kuti, un visigoto islamizzato che lasciò Toledo, in Spagna, il 22 maggio dell'anno 1468,per rifugiarsi nella valle del Niger dopo un viaggio di 3000 chilometri senza che smarrisse uno solo dei suoi libri.

Lo scibile delle conoscenze medievali

Dei 3000 manoscritti molti sono redatti in arabo classico, altri in arabo andaluso e alcuni in ebraico. Il loro contenuto abbraccia tutto lo scibile delle conoscenze medievali in terra islamica: tradizione cranica, logica,filosofia,poesia,astronomia e astrologia,medicina e farmacopea, viaggi e commerci, matematica e fisica. Parecchi anche i testi di carattere giuridico riguardanti la vita degli israeliti,dei rinnegati cristiani di Timbuctù (Armas) dei musulmani di Spagna e del Portogallo, la vendita e il riscatto degli schiavi e dei prigionieri di guerra,il matrimonio e i divorzi,la moneta e il corso dei cambi,il traffico carovaniero dei libri,del sale,della polvere d'oro,dei tessuti,delle armi,dei cereali,delle spezie e della cola. Non mancano le raccolte epistolari con lettere originali dei sovrani e dei mercanti delle due rive del Sahara.. Ismael Diadié Haidara, in una lettera indirizzata alle organizzazioni internazionali, avverte che per ogni manoscritto che scompare l'umanità si ritrova più povera e "che è meglio far luce anche soltanto con una candelina piuttosto che maledire l'oscurità" .

Fonte: www.missioni-africane.org

Articolo pubblicato da Tommaso Palmieri per Osservatorio Mediterraneo