Sulla regolarità di queste elezioni bisogna comunque tener presente quanto accaduto circa un mese prima del loro svolgersi. E’ da segnalare infatti il sequestro da parte del governo marocchino di due noti settimanali (“TelQuel” – il settimanale francofono considerato la punta di diamante del progressismo locale – e “Nichane”, testata umoristica della stessa casa editrice), accusati di oltraggio alla monarchia e alla religione di Stato, facendo rilanciare l’allarme sulla situazione della libertà di stampa nel Paese maghrebino. Il direttore editoriale dei due periodici, Ahmed Reda Benchemsi , poneva in dubbio il valore democratico delle elezioni di settembre, sostenendo come esse avessero un peso relativo in un Paese nel quale il re mantiene una quota di potere che non è soggetta a controllo alcuno, poiché nomina i principali ministri a suo pacimento e non è soggetto ad alcuna censura o controllo da parte del Parlamento. Seppure il Marocco sia considerato un Paese molto liberale a paragone di altre nazioni arabe o musulmane, alcuni argomenti – come la monarchia, la religione e la questione del Sahara Occidentale – continuano a essere tabù per giornalisti e opinionisti.
Il Pjd stesso, pur essendo un partito di ispirazione islamica, per poter essere riconosciuto nella politica ha dovuto accettare le istituzioni monarchiche sulle quali si basa il Regno del Marocco. Ci sono infatti nel Paese movimenti ed altri partiti più radicali, che rifiutano questa democrazia “monarchica”, in cui il re ha di fatto tutto il potere, perché il nuovo governo che si formerà sarà molto simile a quello precedente (comunque il re avrà il potere di scegliere il primo ministro). In sostanza, qualunque sia il risultato elettorale, il vero potere risiede nelle mani del re, capo esecutivo dello stato, dirigente militare e leader religioso. Questi movimenti ed organizzazioni, pur non essendo riconosciuti, e dunque non legali, ricevono comunque il sostegno di larga parte della popolazione e si auto-definiscono moderati, pur essendo radicali dal punto di vista politico (e non religioso). Nadia Yassine, figlia dello sceicco Abdessalam Yassin e leader di Al Adl Wal Ihsane, uno dei movimenti popolari marocchini più importanti e che riesce a trascinare centinaia di migliaia di persone, definisce il suo movimento radicale nel senso politico, chiedendo che la monarchia si metta da parte nel gioco politico. E’ per questo che il suo movimento islamista viene tollerato ma non riconosciuto dalle autorità marocchine. Lo stesso blocco islamico è risultato così diviso tra coloro che hanno accettato la via parlamentare per ottenere i loro fini e coloro che rigettano la monarchia e il controllo sulla società che questa esercita.
Da un'analisi dettagliata di questi risultati, emerge però come l'affluenza al voto sia stata la più bassa nella storia della democrazia marocchina, con un'affluenza alle urne di solo il 37% degli aventi diritto. La vera sorpresa è stata infatti rappresentata da quel fronte del no che ha spinto centinaia di migliaia di persone a non andare a votare. Pur avendo il monarca più volte invitato, con appelli televisivi, la popolazione ad andare a votare, questo fronte del no, rappresentato sia da partiti, associazioni e movimenti di sinistra, come Annahj Addimocrati, sia da movimenti islamisti tollerati ma non riconosciuti dalle autorità marocchine, ha avuto così il sopravvento. L’apatia degli elettori potrebbe essere dovuta ad un atteggiamento di sfiducia nei confronti del governo, ritenuto inefficiente nel raggiungere gli obiettivi economici e sociali prefissati, sia alla carenza di valide alternative da parte dei movimenti islamici. L'astensionismo ha registrato le percentuali più elevate in particolare in quelle che il governo di Rabat chiama 'province del Sahara', che sono in realtà i territori del Sahara Occidentale che il Marocco occupa dalla metà degli anni Settanta, e tra le popolazioni berbere dei monti dell'Atlante, che boicottano da sempre la monarchia.
Ma il fattore forse più significativo da cogliere all'interno del risultato elettorale è il ruolo rivestito dalle donne marocchine. Il fattore femminile è stato infatti uno dei cavalli di battaglia di queste elezioni. Sembra che la mattina stessa del voto, ai seggi della capitale Rabat, molte erano le donne, velate e non e di ogni status sociale accorse alle urne.
Nonostante diano prova ogni giorno di essere sempre più presenti nel mondo degli affari, sulla scena economica e sociale, nel settore culturale associativo e sportivo, la loro partecipazione alla politica resta un grande paradosso che i partiti e lo Stato sono invitati ad affrontare. Troviamo la risposta nel livello di astensione registrato il giorno del voto e nell'elevata percentuale di schede bianche all'interno dei voti contati, sapendo che più della metà della popolazione marocchina è di sesso femminile. I risultati confermano così la volontà delle donne a ricoprire un ruolo non più di secondo piano nella società marocchina e di voler dare un contributo importante anche nella gestione degli affari pubblici. L'assenza di partecipazione femminile al voto, che pur rappresenta un esercizio effettivo della cittadinanza, è essa stessa pregiudiziale allo sviluppo della democrazia. La rappresentanza e l'integrazione cosciente delle donne nell'elites politiche nazionali sono lontane dal riflettere la proporzione demografica e la misura del loro contributo economico ed il Marocco è dunque invitato a contribuire a rinforzare la rappresentanza politica delle donne e a giocare il ruolo di “locomotiva” di uno sviluppo sensibile al “genere”.
Giovanni Marchionna (OM)
Fonti: peacereporter.net; nuke.ossin.org; radiotremondo.rai.it
Per un'analisi dettagliata dei risultati:
http://www.elections.gov.ma/index.aspx
http://www.elections-maroc.com/2007/