Il mare metaforico degli arabi

di Jalel El Gharbi (trad. di A. Rivera Magos)

Gli Arabi non erano un popolo fatto per il mare. Per loro, il mare era soprattutto un riferimento metaforico. La poesia pre-islamica, per esempio, abbonda di tale percezione metaforica che associa deserto/mare; dune/onde. L’esempio più conosciuto, di questa serie di metafore in cui vivevano gli Arabi, sarebbe quella dell’assimilazione del cammello ad una barca. Si capisce bene come nelle distese desertiche, il mare prende presto il senso di distesa d’acqua. Gli Arabi da subito hanno distinto due tipi di mare: il mare dolce e il mare salato. Questa distinzione spiega il senso dell’espressione “i due mari”. Contrariamente a quel che ha potuto scrivere Predrag Matvejevich, il Corano non parla di due grandi mari ma di questi due tipi. Il mare: una distesa d’acqua. Così il Nilo, che si è sempre considerato un mare, è chiamato Mar del Nilo fino ad oggi. Alcuni laghi sono chiamati mari. Ed è vero che alcuni mari somigliano a dei laghi. Può darsi che il legame fra i due tipi di mare sia il carattere pescoso. Mare dunque, significherebbe distesa pescosa.
Per gli Arabi, il mare per eccellenza è il Mar Rosso. Della trentina di volte in cui occorre nel Corano la parola mare, nessuna fa riferimento al Mediterraneo, chiamato mare bianco.
Perché questo colore? Donde gli viene?
Sono eredi della cartografia greca, traduttori del Grande Trattato, oggi più noto col nome di Alamgesto (forma arabizzata di Megistos [biblos] il Grande [Libro] di Tolomeo), opera di cui la biblioteca nazionale di Tunisi detiene un sontuoso esemplare.
Gli Arabi hanno adottato la rappresentazione alessandrina del mondo. Le carte riportano differenti colori rappresentanti ciascuno un punto cardinale. L’Est è rosso; il Nord è nero; l’Ovest è bianco.
Di tutti questi mari, il più importante per un musulmano è il Mar Rosso. Non solo per ragioni relative alla fede: è quello che attraversa Mosé, è il mare più citato dal Corano. Ma anche per delle ragioni geografiche: è il Mar Rosso che fa dell’Arabia una penisola (al Jazeera, l’isola), è lui che fa l’insularità dell’Arabia, che delimita e protegge. Il Mar Rosso ha un’importanza identitaria per quel santuario che è Al Jazeera, contiene la Mecca e Medina, le città sante con Gerusalemme (Al Qods: parola formata sulla radice QDS: sacro).
Questa predilezione musulmana per le isole dovrebbe essere studiata: l’Islam non attraverserà il Mediterraneo che per raggiungere delle isole: l’Andalusia (un’altra penisola, Jazeera, isola), Malta, Sicilia, Sardegna…
Sul piano letterario, questa predilezione per l’insularità si trova in Ibn Touffayal e raggiunge la sua espressione più colorita nelle Mille e una Notte.
L’insularità dell’immaginario musulmano si spiega attraverso l’importanza che hanno le oasi, isole metaforiche, nella vita in Arabia. Questa supremazia dell’oasi, dell’isola trova un’altra eco: nell’architettura urbana musulmana, la moschea è l’oasi dell’oasi. Ne riproduce, con i suoi archi e archetti, gli alberi, per il posto che vi occupa l’acqua fa pensare all’oasi, al paradiso. Si potrebbe azzardare, senza rischio di sbagliare troppo, che l’isola ha qualcosa di paradisiaco.
Il Mar Rosso costituisce anche un legame con la Palestina, sarebbe a dire un legame storico e religioso con il cristianesimo e il giudaismo. Uno dei principali motivi dell’Islam è di iscriversi nella continuità di queste due religioni. Il Mar Rosso è il ponte che assicura questa continuità.
Il Mediterraneo, il mare bianco, quello dell’Ovest, è anche detto il mare dei Rumi (bizantini). È il mare dell’altro. Spazio cristiano, spazio di passaggio del Cristianesimo (dal sud verso il nord), quando l’Africa del Nord raggiungerà molto presto l’Islam e il mondo arabo. Perché, contrariamente a ciò che si pensa, essere arabi è un’appartenenza linguistica e non etnica.
Un hadith del profeta sostiene che “chiunque parli arabo è Arabo”.
Tutto avviene come se il Maghreb fosse integrato nell’immaginario musulmano, come se fosse un’ isola. Delimitato dal Mediterraneo a nord, l’oceano ad Ovest e un metaforico mare a sud: il Sahara.

Fonte: www.babelmed.net
Articolo pubblicato per Osservatorio Mediterraneo da Tommaso Palmieri